Il territorio provinciale di Padova sta accogliendo immigrati provenienti da varie zone disagiate dell’Africa. Sono persone di varie nazionalità, che vivevano e lavoravano in Libia e che le note vicende hanno privato di tutto: di un riparo, di un luogo dove vivere decorosamente, del minimo per la sussistenza, di speranze per un avvenire migliore. Gente che certamente farebbe volentieri a meno di farsi sballottare da una parte all’altra del mondo, pietendo accoglienza. Possiamo restare indifferenti di fronte alla sofferenza e negare il minimo di assistenza?
Anche il nostro territorio oggi è in difficoltà per problemi di lavoro e per la difficile situazione economica. Tuttavia in Italia la popolazione non è decimata da malattie endemiche o guerre, e qui, nonostante la crisi economica, si può ancora vivere dignitosamente.
Tutte le componenti della collettività sono chiamate ora a dare il proprio contributo: in primo luogo il Comune (con fondi stabiliti dal Governo), ma anche le associazioni, le reti di solidarietà, le parrocchie, i privati cittadini. Ciascuno secondo le proprie possibilità, consapevoli che interveniamo dove lo Stato, o meglio il Governo, è clamorosamente mancato sottostimando il problema prima, invocando l’intervento dell’Unione Europea poi. Alla fine però il problema è stato scaricato sui Comuni da chi è allo stesso tempo al governo a Roma e amministratore in Veneto.
I profughi sono stati definiti dal Governo con un termine neutro: soggiornanti per motivi umanitari. Questo per fornir loro un documento che consentisse libera circolazione nell’area Schengen, nella malcelata speranza che portassero la loro scomoda (e costosa, anche politicamente) presenza in altri Paesi europei. Il documento di soggiorno ha la durata di 6 mesi e non è rinnovabile. Per questo periodo, lo Stato fornisce a copertura delle loro spese: 40 € al giorno, qualcosa in più nel caso vi siano famiglie o minori.
Si sprecano su questo cinici commenti, perché sono cifre superiori alla media di quanto percepito dai poveri pensionati italiani. Questi soldi devono servire per l’alloggio, il vitto, un interprete per potersi capire, per organizzare delle attività in previsione di quello che accadrà tra 6 mesi che, credetemi, passano in fretta. Al termine della cuccagna, cosa accadrà? Chi non avrà tolto il disturbo andandosene in un altro Paese, si troverà nei nostri Comuni privo di documenti. Dobbiamo quindi adoperarci sin da ora a creare un percorso che accompagni queste persone verso l’autonomia, verso lavori che producano reddito per pagare affitto, comprarsi vestiti, cibo, pagare i servizi di cui continueranno ad avere bisogno. Finita la “cospicua” sovvenzione governativa, che non finisce nelle tasche dei furbi profughi ma a chi ne gestisce l’accoglienza, i Comuni saranno lasciati a gestire la loro presenza. Loro, i profughi, ancora una volta incerti sulla loro tutela; noi, Comuni, parrocchie, associazioni angosciati dalla mancanza di risorse a disposizione per lavorare seriamente in modo collettivo e concertato.
Da sindaco, mi chiedo come fare a sostenere questi successivi costi che verranno imposti dallo stesso Governo che riduce i trasferimenti e paralizza con il patto di stabilità anche il potere di spesa dei Comuni che hanno bilanci sani. Da cittadino italiano mi dico che dobbiamo trovare una soluzione perché non è sopportabile che esseri umani vivano consapevoli di essere un peso mal tollerato, vergognosi della loro esistenza.
A quanti prefigurano problemi di ordine pubblico e sicurezza rispondo che chi delinque deve esser perseguito dalla legge (qui sì che serve una vera riforma della giustizia), a prescindere dalla nazionalità. Nessuno qui gira armato per difendere se stesso, le proprie cose e i propri cari. Restiamo un Paese civile, con un sistema di regole condivise e di leggi. Vent’anni di immigrazione non hanno prodotto emergenze sociali insuperabili: le guerre di Jugoslavia e i fatti di Albania hanno portato problemi affrontati e in buona misura risolti. Come hanno saputo fare gli altri Paesi europei dove esistono comunità di immigrati ben più numerose senza che si sia dovuta affrontare alcuna catastrofe umanitaria o una guerra tra poveri.
Dignità, salute, e assistenza sono diritti ai quali tutti, anche gli immigrati che arrivano nel nostro Paese, possono accedere e ai quali dobbiamo richiedere il rispetto dei doveri civici senza alcun pietismo o buonismo. L’emergenza deve riguardarci perché c’è una persona vicino a noi che ogni giorno rischia tutto solo per poter sopravvivere: non possiamo passare oltre e far finta di non aver visto.
Mirco Gastaldon, Sindaco di Cadoneghe