La vicenda della moschea di Grantorto (o meglio, della non-moschea, l’ennesima che in Veneto non vedrà la luce) mette in evidenza una sequenza di ipocrisie da cui pochi escono bene.
Il principio, innanzitutto. I musulmani, come le persone di tutte le religioni, hanno il diritto, umano prima che garantito dalla costituzione, di vedersi riconosciuta libertà di culto e di preghiera. Il fatto che la Lega di fatto spesso lo contesti (ma ci sono anche sindaci leghisti, in questo stesso Veneto, che hanno preferito inaugurarle, le moschee) non fa diventare diritto un torto. Se non lo si consente, si chiama discriminazione, e si può nel caso ricorrere al giudice, che valuterà e applicherà le leggi (dando magari ragione ai musulmani, come accaduto a Verona). Nessuno può permettersi di dire “No moschea” semplicemente perché non va a lui.
La convenienza, in secondo luogo. Ormai tutti, a cominciare dal ministero degli Interni, che sta producendo delle linee guida sulle moschee, sono convinti che sia meglio che i musulmani stiano in luoghi visibili, aperti, alla luce del sole, e quindi controllabili, in collaborazione con le forze di polizia e le istituzioni locali, anziché in luoghi degradati, nascosti, carbonari, mal tollerati e mal visti. Perché questo favorisce integrazione, reciproca conoscenza e controllo sociale: proprio ciò che noi tutti vorremmo e a parole auspichiamo.
Le paure, d’altro canto. Le paure dell’islam sono comprensibili, di per sé. E quindi anche i timori, le reazioni di chiusura. Come di fronte a ogni novità spesso accade. Ma su queste si potrebbe riflettere con pacatezza, e con i diretti interessati, confrontandosi, andandosi incontro con reciproche concessioni, nella legalità e senza gesti sbracati. Se si sceglie quest’ultima strada vuol dire che l’obiettivo è sollevare un problema – perché porta visibilità, voti, e perché si sceglie un obiettivo facile, e anche un po’ vile, dato che i musulmani hanno minor potere contrattuale, e oltre tutto non votano – non perché si vuole risolverlo.
Le ragioni pratiche, infine. Non c’è dubbio che, nel caso specifico, ci possano essere serissime ragioni per considerare il luogo, eventualmente, inadatto. Le prendiamo per buone: sulla fiducia. Ma di fronte a queste un sindaco saggio, in silenzio, avrebbe incontrato i protagonisti della vicenda, consigliandoli, spiegando loro che ci sarebbero potuti essere dei problemi, e indirizzandoli altrove, magari collaborando nella ricerca di un posto più adatto, nel reciproco interesse. Si è scelto invece il clamore, la visibilità mediatica, il consenso facile, alimentando logiche di sospetto (chissà dove avranno preso i soldi?) e lisciando il pelo al timore per il diverso che si cela in tutti noi, che andrebbe invece educato.
Ormai di sale di preghiera musulmane, in Veneto, ce ne sono 110, e 764 in Italia, in proporzione al numero di musulmani. Vogliamo cominciare ad affrontare il problema per quello che è, pensando alle prossime generazioni anziché sempre e solo alle prossime elezioni?
Stefano Allievi
Docente di Sociologia, Università di Padova