Relazione di minoranza al decreto legge sulla manovra economica (d.l. 31 maggio 2010 n. 78).
L’intervento in Aula del Senatore Giaretta – 13 luglio 2010
La debolezza più grave della manovra è la sua mancanza di ambizione e coraggio. La crisi sempre può costituire una occasione: per migliorare i fondamentali del paese, per affrontare quelle riforme strutturali che in condizioni normali sono più difficili da fare. Un’occasione che non dovrebbe essere sprecata.
La crisi è invece per il Governo diventata un alibi. Per affrontare senza discussione all’interno stesso del Governo una manovra senza prospettiva, di fronte ad una urgenza ostinatamente negata per un lungo periodo.
Vi sarebbe stato lo spazio per un discorso franco al paese. Certamente sarebbe stato possibile fare appello alle migliori energie della nazione, costruire un consenso reale attorno alle cose che servono. Ce lo saremmo aspettato, l’opinione pubblica avrebbe capito il senso di sacrifici necessari per il bene comune, purché equamente ripartiti e finalizzati a lasciare un paese migliore, più giusto e competitivo.
Bugie al posto di responsabilità
Il Presidente del Consiglio ha scelto un’altra strada, prima negando l’emergenza, poi mettendosi sulla strada di chi vuol dividere più che unire. Sembra che non sappia governare se non lavorando per dividere l’opinione pubblica, sconquassare ogni rapporto istituzionale e politico.
Per dividere la sua stessa maggioranza, che ormai occupa gli spazi della comunicazione per i litigi permanenti, le minacce e non per le decisioni.
La scelta dello scontro permanente. A cominciare da quel perentorio “se fosse al governo la Sinistra saremmo come la Grecia”. Anche nella più aspra delle contese politiche c’è un debito con la verità.
Il Presidente del Consiglio che fa questa affermazione è un signore che ha governato l’Italia per 10 degli ultimi 16 anni. Ha ricevuto in eredità un paese il cui debito era al 103,5% del PIL e lo ha portato quest’anno al 118%, appunto al livello della Grecia. Eletto sulla promessa meno tasse per tutti ha portato la pressione fiscale al record storico del 43,2%, coltivando in ogni occasione l’invito alla slealtà fiscale. Quest’anno per la prima volta dopo 19 anni viene azzerato l’avanzo primario, che è il risparmio necessario per poter abbattere il debito. Sopratutto ha indebolito la competitività del paese. L’annuale classifica del World Economic Forum ha registrato negli anni dei governi dell’Ulivo un avanzamento da parte dell’Italia di 13 posti nella classifica mondiale per la competitività, frutto delle politiche di liberalizzazione, di apertura dei mercati, di riforme portate a compimento. Negli anni in cui ha governato Berlusconi l’Italia ha perso la bellezza di 21 posizioni ed è ora relegata al 48esimo posto.
Sei emergenze da mettere nell’agenda del paese
Questi sono dati. Questi sono fatti. Gli insulti non li possono nascondere.
Noi preferiamo parlare d’altro. Vogliamo guardare al futuro. Vogliamo pensare ai problemi reali del paese che deve trovare la forza di affrontarli.
Siamo un paese che da troppo tempo cresce troppo poco. Nei dieci anni antecedenti la crisi il PIL italiano è cresciuto di 15 punti rispetto ai 25 punti della media euro. Negli ultimi due anni il PIL è calato al livello di dieci anni fa, mentre i nostri concorrenti hanno perso 3 o 4 anni.
Siamo un paese che perde produttività: la produttività del lavoro negli ultimi 10 anni è cresciuta del 3% rispetto ad una media dell’area euro di 14 punti. Bassa crescita affidata a scarsi investimenti e bassi salari. Ed infatti siamo agli ultimi posti in Europa per il livello dei salari e nell’ultimo biennio si è avuto un calo di quasi il 20% per gli investimenti fissi nell’industria. La produttività totale dei fattori per il settore manifatturiero arretra di 5 punti rispetto al 1995, mentre la Germania ne guadagna 30 e la Francia 26.
Abbiamo una parte della popolazione che rischia di restare esclusa dal circuito della produzione. La partecipazione delle donne al lavoro è tra le più basse in Europa. Drammatica è la condizione giovanile. Il 79% dei posti di lavoro persi nell’ultimo periodo riguardano giovani tra i 18 e i 29 anni. La disoccupazione giovanile è al 29,5%. Ci sono in Italia 2 milioni di giovani che non studiano, non lavorano non cercano neppure lavoro.
L’Italia è un paese in cui aumentano le disuguaglianze. Nella classifica OCSE l’Italia è il secondo paese europeo come ampiezza nella distribuzione della disuguaglianza della ricchezza ed il primo paese per immobilismo sociale: non c’è quasi più ascensore sociale, chi nasce nella parte bassa della scala sociale ha una elevata probabilità di restarvi.
Nel 2000 secondo il test OCSE Pisa i nostri studenti dimostravano una capacità superiore alla media comunitaria, con un 19% di studenti con scarsa capacità di lettura. Dopo meno di dieci anni la percentuale è andata ben al di sopra della media europea raggiungendo il 27% degli studenti: quasi un terzo dei giovani non sa procurarsi informazioni da un testo scritto, capirne la logica interna e metterlo in relazione con le nozioni che già possiede.
La demografia continua a restare fuori da un discorso politico pubblico. Eppure abbiamo dei problemi particolari. Siamo il paese più vecchio d’Europa. L’indice sintetico che misura il rapporto tra popolazione anziana e popolazione giovane supera il 30%, sei punti sopra la media europea. In cinque anni è più che raddoppiata la presenza di cittadini stranieri. E sono stati anni di bassa crescita economica. Si preferisce parlare di sicurezza invece che di politiche rigorose di una necessaria integrazione.
Ci sono le risorse per farcela ma occorre la Politica
Un’analisi troppo pessimistica? No una analisi realistica. Non siamo pessimisti. Anzi, pensiamo che l’Italia abbia le risorse anche per vincere questa sfida. Gli italiani danno il meglio di sé di fronte alle difficoltà, con la ricchezza di uno spirito imprenditoriale diffuso, un capitale sociale ancora molto forte, punti di eccellenza che restano competitivi. Non abbiamo avuto le bolle speculative che hanno caratterizzato altre economie. Il sistema bancario si è dimostrato solido. Vi è un risparmio privato che compensa abbondantemente lo stato del debito pubblico. Abbiamo una base manifatturiera che pochi paesi occidentali hanno.
Solo che gli italiani, le nostre imprese non possono farcela da soli. Hanno bisogno che la politica faccia la propria parte. Nel decidere con lungimiranza. Nel promuovere le riforme necessarie ad abbattere barriere e rendite altrimenti inattaccabili.
Per recuperare e organizzare la forza strutturale del Paese, quella che si trova nell’economia reale, nelle imprese, nelle famiglie
E’ l’occasione per restituire iniziativa e responsabilità a quei corpi intermedi che hanno già dato prova in passato, nei momenti di emergenza, di capacità cooperativa attorno ad obiettivi condivisi di crescita.
Le proposte del Pd rimaste senza risposta
Così com’è la manovra non risponde a queste esigenze. Abbiamo cercato di dimostrare che è possibile cambiarla mantenendo un quadro di rigore finanziario in direzione di una maggiore equità e di una maggiore attenzione alla crescita. I nostri emendamenti sono in campo. Ancora il Presidente del Consiglio ha dichiarato che l’opposizione “produce una raffica di no su tutto senza che ci venga fatta una proposta alternativa”. Veramente in queste settimane i no senza motivazione, senza controproposte sono stati i no del governo presieduto dall’on. Berlusconi.
L’opposizione ha messo in campo proprio una proposta alternativa. L’abbiamo basata su tre pilastri.
Un fisco per premiare chi paga
Intanto il fisco. La crisi è l’occasione per reimpostare la struttura fiscale italiana verso una maggiore equità. Ricordo che negli ultimi 30 anni i redditi da lavoro dipendente sul valore aggiunto sono scesi dal 66 al 53%, ma il peso dell’IRPEF e dell’imposta sostitutiva sul lavoro dipendente è balzato dal 52 al 70%.: troppo pochi pagano troppe tasse. Finalmente vi siete convinti che la lotta all’evasione fiscale è un elemento necessario. Avete detto: dalla persone e dalle imprese alle cose.
Bene, noi proponiamo di incominciare a farlo. Almeno un euro su due di quelli provenienti dalla lotta alla evasione fiscale secondo la nostra proposta deve andare ad alleggerire la posizione dei contribuenti onesti. Un fisco amico della famiglia è stato detto molte volte. Si può incominciare a farlo. Abbiamo proposto di raddoppiare le detrazioni per figli aumentando la soglia di detraibilità ferma da molti altri. Oppure di rendere deducibili le spese per baby sitter, asili nido, badanti che condizionano pesantemente i bilanci delle famiglie. Oppure iniziare ad agire con uno strumento universale, la dote fiscale per i figli, prevedendo un assegno di 3.000 euro annui fino al diciottesimo anno di età. Aiuti concreti. Scegliamo, scegliete, ma qualcosa va fatto.
Per le imprese. Proponiamo di togliere il costo del lavoro dall’imponibile IRAP delle piccole imprese e dei professionisti. Avete detto che avreste cancellato l’IRAP. Incominciamo a fare qualcosa. Con l’operazione cuneo fiscale fu tagliato da noi un quarto dell’IRAP, oggi si può fare un altro passo in avanti in un momento di grande stress per il sistema delle piccole imprese.
Il finanziamento di queste misure di alleggerimento fiscale può trovare copertura attraverso due misure. Una sovrattassa di 3 punti sui capitali regolarizzati attraverso lo scudo fiscale, ricordando che nessun paese europeo che abbia fatto operazioni analoghe ha usato una aliquota così bassa per la regolarizzazione e che al contrario di quanto affermato dal Governo e come era ovvio, solo una minima parte dei capitali scudati si sono tradotti in investimenti sul sistema Italia.
Una seconda azione riguarda l’avvio di una tassazione più equa delle rendite finanziarie. L’aliquota attuale al 12,5% non ha riscontro tra i maggiori paesi europei ed è particolarmente iniqua rispetto alla tassazione dei redditi di lavoro e di impresa. Si propone perciò l’innalzamento al 20%, escludendo da questo aumento i titoli di Stato.
Infine appare urgente un intervento sulla fiscalità della casa, con una tassazione secca al 20% dei redditi da affitto, accompagnata da una detrazione del 20% delle spese di affitto per gli inquilini.
Un provvedimento all’inizio costoso ma che rapidamente si farà pagare da solo, con una forte emersione del nero, realizzando un vantaggio sia per i piccoli proprietari, con una maggiore convenienza per l’investimento immobiliare, sia sotto il profilo di un sostegno del reddito per le famiglie di inquilini.
Equilibrio tra centro e periferia, per evitare la tomba del federalismo
Il secondo pilastro è la spesa pubblica. Va ridotta la spesa corrente improduttiva. Ma non è pensabile agire senza strumenti razionali e con un così forte squilibrio tra centro e periferia: il sistema delle autonomie locali dovrebbe contribuire con 14,8 miliardi, i ministeri con 3,4 miliardi. Negli ultimi cinque anni la spesa della pubblica amministrazione centrale è aumentata di 1,2 punti rispetto al PIL, mentre per comuni e regioni al netto della spesa sanitaria il peso è diminuito di due decimi di punto. Lo Stato che non sa controllare la propria spesa scarica sulla periferia le proprie inadempienze. Il Governo non ha saputo costruire un patto concordato con il sistema delle autonomie come lo richiederebbe la Costituzione e la nuova legge di contabilità.
Così si profila un federalismo di cartapesta in cui i costi standard saranno una esercitazione statistica. i comuni dovranno far fronte ai tagli dello stato centrale spendaccione con un aumento della pressione fiscale, le Regioni, secondo le uniche promesse fatte dal Governo, potranno continuare a sfondare la spesa sanitaria per sprechi e non per migliori servizi senza alcuna reale sanzione.
Non è possibile. Noi proponiamo un’altra strada: un contributo più rigoroso di razionalizzazione della spesa corrente. Con l’introduzione di una norma programmatica generale, che agisca sull’intero bilancio dello stato e non solo sulle quote cosiddette rimodulabili. Con l’obiettivo di tagliare la spesa di due punti percentuali per il primo biennio e poi di contenerla entro il 50% della crescita del PIL nominale. Questo è l’obiettivo per una maggiore disciplina di bilancio, lo strumento è completare per tutti i ministeri l’analisi della spesa compiuta dalla Commissione per la Finanza pubblica, purtroppo destituita dal vostro Governo, che per i 4 ministeri esaminati ha dimostrato la possibilità di introdurre azioni amministrative innovative con il risparmio di qualche miliardo di euro. Proponiamo poi una serie di azioni che darebbero risultati rilevanti. L’unificazione dei due grandi enti previdenziali INPS e INPDAP, la razionalizzazione e la riduzione della struttura periferica dei ministeri, l’introduzione della ricetta e del fascicolo elettronico per contrastare gli abusi della spesa farmaceutica, una drastica riduzione dell’uso delle auto blu e dei voli di stato, un prosciugamento delle ipertrofiche strutture della Presidenza del Consiglio, L’attuazione concreta della valutazione dell’efficienza della pubblica amministrazione ed il premio del merito.
Tutte cose concrete che si possono fare, riequilibrando la manovra a favore di regioni e Comuni, secondo principi di merito ed efficienza, costruendo insieme obiettivi rigorosi di rientro dell’eccesso di spesa.
Le misure per far crescere il paese
Infine il terzo pilastro. Misure per lo sviluppo. I fondi mobilitabili sono ridotti ed occorre concentrarsi in alcuni settori strategici. Il credito d’imposta per la ricerca e per il Mezzogiorno va liberato dalla famigerata esperienza del click day. Non si può affidare ad una lotteria il sostegno ad investimenti strategici per lo sviluppo. In tutto il mondo si sostiene la green economy. in Italia si fa l’esatto contrario eliminando i benefici per efficientamento energetico degli edifici e alterando il regime dei certificati verdi, compromettendo investimenti già programmati. Proponiamo che si proroghi il regime esistente. Sul piano della infrastrutturazione abbiamo sottolineato in particolare la necessità di procedere con la realizzazione della banda larga, che può trovare sostegno dai fondi che possono derivare da una rapida vendita delle frequenze rese libere dal digitale terrestre, e la necessità di un intervento urgente sulla portualità.
E’ indispensabile agire sul Patto di Stabilità interno almeno per le politiche di investimento, liberando energie finanziarie disponibili che rapidamente si trasferirebbero sulla domanda di opere pubbliche di pronta cantierabilità. Sempre per lo sviluppo proponiamo un Piano straordinario di interventi a sostegno dell’autonomia finanziaria per le giovani generazioni e misure fiscali per incentivare il lavoro femminile. Se non si mobilitano le tre grandi risorse inespresse: Mezzogiorno, giovani e donne è improbabile riacquistare un sufficiente ritmo di crescita.
Nelle proposte per lo sviluppo mettiamo proposte alternative ai tagli indifferenziati per la cultura, la scuola, la ricerca. Fattori strategici per la crescita.
Investimenti in capitale umano che è l’unica materia prima che possiede il paese. Non capire questo significa avere gli occhi chiusi sul futuro. Proponete ai giovani una mini naia di tre settimane. Una perdita di tempo che costa allo Stato 20 milioni di euro. Non sapete trovare questa somma per i giovani ricercatori che costruiscono il futuro della competitività italiana.
Infine le riforme a costo zero: proponiamo liberalizzazioni e semplificazioni che significano risparmi ingenti per le imprese ed innalzamento della produttività del sistema paese, in particolare per i mercati dell’energia, per banche, assicurazioni, farmaci. L’efficacia di questi interventi è dimostrata dai dati: il mercato dell’elettricità, più liberalizzato di quello del gas ha avuto performance di prezzo molto migliori. Una parzialissima liberalizzazione nel settore dei farmaci con le lenzuolate Bersani ha comportato per il consumatore un ribasso dei prezzi del 5%. Siamo convinti che si debba semplificare il rapporto tra impresa e pubblica amministrazione. Vi abbiamo fatto proposte più incisive di quelle da voi approvate. Con paletti essenziali però. Le imprese devono avere un quadro di certezza del diritto. Troppe norme si sovrappongono in modo confuso. Quando sono in gioco beni pubblici indisponibili come quelli ambientali, paesaggistici e monumentali occorre impedire manomissioni irreversibili.. Occorre che i controlli ex post siano rigorosi, continui, efficaci e le sanzioni pesanti. Altrimenti ancora una volta sarebbero i disonesti a fare la concorrenza sleale agli onesti.
Parlate di modificare l’art. 41 della Costituzione che invece giustamente afferma la natura sociale dell’impresa, ma intanto nella manovra non c’è niente. Anzi c’è il suo contrario. Se ci sono parole estranee allo spirito della manovra queste sono concorrenza e mercato. E infatti agite ancora una volta intervenendo in modo casuale sulla filiera del farmaco, senza riguardo per le imprese che investono, senza rompere le situazioni di monopolio e di profitto ingiustificato, senza agire sui macroscopici conflitti di interesse. Intervenite sul mercato dell’energia appropriandovi di una parte di potenziali risparmi che spetterebbero ai consumatori. Tassate le riserve delle assicurazioni che sono sostanzialmente dei debiti ed in un mercato chiuso sono costi che si trasferiranno sul consumatore. Vi ostinate a premiare 67 imprese agricole che non vogliono pagare le multe per le quote latte sforate, in un settore in cui sono in corso processi per truffa, penalizzando tutto il resto del mondo agricolo ed esponendo l’Italia a sanzioni comunitarie che saranno pagate da tutti i cittadini.
Coraggio e competenza: le virtù che mancano alla maggioranza
Abbiamo dimostrato che se si volesse si potrebbe fare una manovra con ben altro respiro. Per questo insistiamo: la parte sbagliata della manovra non è il presunto rigore. Presunto perchè una parte delle entrate sono sovrastimate ed una parte dei tagli di spesa non si realizzeranno. Perché in Commissione l’avete peggiorata, con relazioni tecniche sui costi degli emendamenti spesso del tutto inattendibili. La parte sbagliata è la sua mancanza di ambizione, la rinuncia a combattere per rendere più competitivo il sistema Italia.
Quando nel 1932 Franklin Delano Roosevelt lanciò la prospettiva politica del “new deal” seppe prendere in mano una nazione prostrata dal fallimento di una economia avida e speculativa ed avviarla ad un nuovo slancio. Ricordava Roosevelt in quel famoso discorso “i leaders repubblicani non solo hanno fallito nel concreto, ma hanno dato la prova di non possedere una prospettiva nazionale, poiché nel momento del disastro essi non hanno avanzato nessuna speranza, non hanno indicato alcuna strada alla gente per tornare ai luoghi della sicurezza e della salvezza del nostro modo di vivere Io impegno voi tutti, impegno me stesso a un new deal con il popolo americano. Proclamiamoci profeti di un nuovo ordine di competenza e coraggio”.
La storia si ripete. Anche oggi ci vorrebbero competenza e coraggio. Queste doti sono richieste alla politica particolarmente nei momenti di crisi. E’ ciò che manca del tutto alla manovra che avete proposto.
La mancanza di coraggio è dimostrata anche dall’intenzione di porre l’ennesima questione di fiducia. Mancanza di coraggio nell’affrontare nel merito le contraddizioni della maggioranza e con argomenti di merito le proposte dell’opposizione. Vogliamo togliere ogni alibi a questa scelta. Il gruppo del PD è disponibile a ridurre a 25 gli emendamenti da discutere in aula. Sono quelli che configurano la manovra alternativa che ho illustrato. Abbiate il coraggio di giudicarli di fronte all’opinione pubblica e di spiegare i motivi del diniego.
Direte di no? E’ l’ennesima prova della stanchezza di un governo che non corrisponde più agli interessi generali e che ha perso l’autorevolezza necessaria per governare il paese.
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